da ‘Il Dolore’
Mio fiume anche tu, Tevere fatale,
Ora che notte già turbata scorre;
Ora che persistente E come a stento erotto
dalla pietra Un gemito d’agnelli si
propaga Smarrito per le strade
esterrefatte; Che di male l’attesa
senza requie, Il peggiore dei mali, Che
l’attesa di male imprevedibile
Intralcia animo e passi; Che
singhiozzi infiniti, a lungo rantoli
Agghiacciano le case tane incerte;
Ora che scorre notte già straziata,
Che ogni attimo spariscono di schianto O
temono l’offesa tanti segni Giunti,
quasi divine forme, a splendere Per
ascensione di millenni umani; Ora che
già sconvolta scorre notte, E quanto
un uomo può patire imparo; Ora ora,
mentre schiavo Il mondo d’abissale
pena soffoca; Ora che insopportabile
il tormento Si sfrena tra i fratelli in
ira a morte; Ora che osano dire Le
mie blasfeme labbra: “Cristo, pensoso
palpito, Perché la Tua bontà S’è tanto
allontanata?” Ora che pecorelle cogli
agnelli Si sbandano stupite e, per le
strade Che già furono urbane, si
desolano; Ora che prova un popolo
Dopo gli strappi dell’emigrazione, La
stolta iniquità Delle deportazioni; Ora
che nelle fosse Con fantasia ritorta E
mani spudorate Dalle fattezze umane
l’uomo lacera L’immagine divina E
pietà in grido si contrae di pietra; Ora
che l’innocenza Reclama almeno un
eco, E geme anche nel cuore più
indurito; Ora che sono vani gli altri
gridi; Vedo ora chiaro nella notte
triste Vedo ora nella notte triste,
imparo, So che l’inferno s’apre sulla
terra Su misura di quanto L’uomo si
sottrae, folle, Alla purezza della Tua
passione. Fa piaga nel Tuo cuore La
somma del dolore Che va spargendo
sulla terra l’uomo; Il Tuo cuore è la
sede appassionata Dell’amore non
vano. Cristo, pensoso palpito, Astro
incarnato nell’umane tenebre, Fratello
che t’immoli Perennemente per
riedificare Umanamente l’uomo,
Santo, Santo che soffri, Maestro e
fratello e Dio che ci sai deboli, Santo,
Santo che soffri Per liberare dalla
morte i morti E sorreggere noi infelici
vivi, D’un pianto solo mio non piango
più, Ecco, Ti chiamo, Santo, Santo,
Santo che soffri.
Questa poesia di Giusepe Ungaretti ha segnato in bene la mia vita. L’ho letta per la prima volta a 17 anni e da allora le emozioni che questi versi suscitano all’anima si sono sempre più approfondite. Ho sentito il dolore, quello che non ti fa disperare ma ti lascia la speranza di vivere un giorno migliore. Anche se ti consuma l’essere ho vissuto e percepito la sofferenza come dono. In questi versi ho trovato la più ispirata testimonianza laica di Gesù Cristo, il nostro Salvatore e Redentore
L’uomo che sulle montagne Carso aveva vissuto le sofferenze della I guerra mondiale e partorito, come una Madre il famoso verso “M’illumino d’immenso”, ora si trova nella Roma dilaniata dalla II grande guerra mondiale. Vive il dolore della guerra tra Nazi-Fascisti ed Italiani.
Il giovane che si illuminava di immenso ha lasciato il posto ad un uomo ferito del dolore di vedere fratello contro fratello.Ma indomito egli è ancora illuminato di immenso, nel cuore della notte romana, abbracciato dal dolore, ha la visione che la sofferenza può salire sino a forme divine. Nell’abbraccio freddo della notte sconvolta, sente che imparare il patire è una forma per avvicinarsi all’assoluto.
Chi ha ispirato quest’uomo ad accostare la sofferenza abissale della pena a Cristo? In gioventù avevo detto senza esitare “Le muse della poesia”. Le gloriose creature del bene che hanno elevato l’uomo distaccandolo dalla materia carnale per avvicinarlo al divino. Ma quella “Tua bontà”, mi fa sentire che la fonte ispiratrice era ben più alta e concreta, era lo Spirito Santo, il terzo membro della divinità. Ma nonostante ciò Egli guarda ancora verso terra e sente il Cristo lontano.
Adesso arriva una immagine di doppio dolore scavata nel solco del cuore. Da una parte il vuoto del commiato delle madri dai figli, dovuta alla fame ed all’emigrazione. Le Madri sentivano che difficilmente avrebbero riabbracciato la loro fattura. Dall’altra un dolore più sordo e cupo, che non restituisce neanche l’eco. La lacerazione delle madri a causa della deportazione degli amati figli e sudata prole del focolare. Adesso il dolore sembra ripiegarsi su se stesso, guarda verso il basso, dentro le fosse comuni dove i martiri venivano portati per l’ultima dimora. Ma nella parola con la quale tocca il fondo, ecco risalire la guida dello Spirito. Anche se contratto, solido e duro come una pietra, questo grido sale sino alla divinità, anch’essa fattore e madre dei martiri.
L’eco reclamato non si ode e l’innocenza tenta invano di far breccia nei cuori ormai induriti. Per un istante, solo per un istante, il vuoto del dolore avvolge la notte. Ma l’anima percorre una strada diversa. Lo Spirito Santo porta Giuseppe altrove. Sotto la sua guida Giuseppe impara e comprende che l’inferno del dolore è tanto più devastante e lacerante quanto più l’uomo si allontana alla purezza del Cristo. Lo Spirito Santo porta testimonianza a Giuseppe che la passione (espiazione) del Cristo è pura e redentrice.
Adesso Giuseppe compenetra l’amore del Cristo più pienamente e sente che anche il Cristo, al pari delle madri, ha il cuore dilaniato dal dolore. Una sofferenza ripetuta e profonda che si diffonde moltiplicata nel suo amore che redime e quindi “non vano”.
Ora la rugiada celeste ricopre l’anima del poeta. La figura e la missione del Cristo prendono forma. Egli porta testimonianza che Cristo è l’astro che illumina l’uomo, a prescindere dalla sua malvagità. Una luce così pura che da sempre redime ed illumina tutta l’umanità , deportati e deportatori sono sullo stesso piano. Cristo soffre per entrambi. Guidato, Giuseppe va ancora oltre e sente che Cristo non è solo il maestro e il Dio ma è anche fratello amorevole che soffree redime per liberare tutti, senza distinzione.
Egli libera dalla morte a malvagi (morti) e sorregge gli umili con la provvidenza (vivi), affinché possano sopportare pene indicibili senza rompere il cuore. Adesso Giuseppe non è più solo, il suo dolore è condiviso, sa che anche il Dio dell’universo, la fonte dell’amore non vano, il Redentore sta piangendo per l’atrocità del male.