La Pasqua e il Giorno dell’Espiazione

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Il centro del sacro ministero del Cristo attraverso le due grandi feste ebraiche

La festa della Pasqua

La festa del Giorno dell’Espiazione

Pasqua 2017

Questa é una ricorrenza di Pasqua particolare, il venerdì santo, giorno della crocefissione, cade proprio il 14 di Nisan. Poco prima del tramonto del 14 di Nisan del 33 dopo Cristo Gesù spirò sulla croce e in tutta fretta deposto perché la Pasqua ebraica stava per entrare dopo pochissime ore.

Sono grato a Gesù e soprattutto non dimentico che Gesù è un ebreo che ha vissuto da ebreo ed ha donato all’umanità da ebreo, attraverso la “Sua Espiazione divina”, il nuovo patto tra Dio e i suoi figli, patto che prende vita nel Tempio, tramite il quale egli, per usare le parole dell’apostolo Paolo, ha aperto la via nuova e vivente per tornare al cospetto del Padre Celeste.

Amiamo Gesù Cristo e lo chiamiamo a Volte “Salvatore” e più raramente “Redentore”. Questi due “titoli” corrispondono in effetti a due parti distinte del Suo sacro ministero. In questo scritto spero di far sentire al lettore la profonda differenza tra i due titoli attraverso lo studio delle due grandi e solenni feste ebraiche: la festa della Pasqua e quella del Giorno dell’Espiazione, che durante la fatidica pasqua del 33 dopo Cristo si intersecano ed adempiono entrambe

     

In effetti anche leggendo il significato secolare tra i due lemmi con i quali riconosciamo i titoli di Gesù, c’è molta differenza.

“Salvatore” viene da Salvare, dal riferimento dalla Enciclopedia Treccani:Mettere in salvo; sottrarre a un pericolo; sottrarre alla morte, e quindi riuscire a mantenere in vita.

“Redentore” viene da Redimere, dal riferimento dalla Enciclopedia Treccani:Rimborsare; estinguere; ammortizzare un debito o una passività; Liberare dal peccato, dalla condizione terrena di sofferenza e di imperfezione; Riscattare; Liberare.

Come si nota i due lemmi hanno significati molto diversi, il primo ha una valenza inferiore rispetto al secondo. L’obiettivo del presente articolo è portare testimonianza che nella festa della Pasqua così come comunemente intesa, noi celebriamo il ruolo di “Salvatore”, mentre nella festa dell’Espiazione, celebriamo il ruolo di “Redentore”

Il Cristo “Salvatore” salva l’uomo dalla morte terrena, a prescindere dalla sua condizione con il dono della resurrezione. Infatti, i benefici che porta il “Cristo Salvatore” si applicano anche a persone che con il Cristo non fanno nessuna alleanza. Parimenti, il Cristo “Redentore” riscatta l’uomo dalla condizione terrena solo tramite le alleanze del Vangelo e l’obbedienza ai comandamenti e lo riporta alla presenza Dio, da uno stato decaduto a quella di redento e integro.

Considerato che la Pasqua del 33 d.C è stata quella che ha adempiuto le promesse ed i patti, è importante che studiamo alcuni parti basilari per comprendere il significato più profondo da applicare nella nostra vita.

La festa della Pasqua

La legge della Pasqua è stata data ad Israele nella prigionia in Egitto nel bel mezzo della lotta tra Mosè ed il Faraone per la liberazione di Israele dalla schiavitù.

“Esodo 12:1 L’Eterno parlò a Mosè e ad Aaronne nel paese d’Egitto, dicendo: 2 ‘Questo mese sarà per voi il primo dei mesi: sarà per voi il primo dei mesi dell’anno. 3 Parlate a tutta la raunanza d’Israele, e dite: Il decimo giorno di questo mese, prenda ognuno un agnello per famiglia, un agnello per casa; 4 e se la casa è troppo poco numerosa per un agnello, se ne prenda uno in comune col vicino di casa più prossimo, tenendo conto del numero delle persone; voi conterete ogni persona secondo quel che può mangiare dell’agnello. 5 Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, dell’anno; potrete prendere un agnello o un capretto. 6 Lo serberete fino al quattordicesimo giorno di questo mese, e tutta la raunanza d’Israele, congregata, lo immolerà sull’imbrunire

La cerimonia di commemorazione della Festa della Pasqua inizia il giorno 10 del mese ebraico di Nisan (a volta cade nel mese di marzo a volte cade nel mese di aprile del calendario gregoriano in funzione della prima luna piena di primavera), con la scelta di un agnello per famiglia e se la famiglia è piccola, si possono associare più famiglie. L’agnello deve essere maschio e senza difetto. Nato nell’anno.

Prima di proseguire con le istruzioni date da Dio a Mosè è bene fare alcune considerazioni sulla richiesta dell’Eterno a Israele di eseguire un “sacrificio”.

Quando Dio chiede a Mosè di offrire in sacrificio l’agnello della Pasqua, chiede un rito conosciuto nel modus vivendi di Israele, il popolo e i capi delle dodici tribù prigioniere, sapevano di cosa si trattava.

Le istruzioni sulla cerimonia pasquale continuano con la spiegazione di come utilizzare il sangue dell’agnello. Esso dovrà essere spalmato come se fosse pittura sugli stipiti e sull’architrave delle porte delle case di ogni Israelita dove l’agnello sarà consumato come cena.

“Esodo 12:11 E mangiatelo in questa maniera: coi vostri fianchi cinti, coi vostri calzari ai piedi e col vostro bastone in mano; e mangiatelo in fretta: è la Pasqua dell’Eterno”.

La procedura per consumare l’agnello immolato è molto singolare. Occorre mangiarlo in fretta, con abbigliamento di chi è pronto per partire con il bastone in mano.

“Esodo 12:12 Quella notte io passerò per il paese d’Egitto, e percoterò ogni primogenito nel paese d’Egitto, tanto degli uomini quanto degli animali, e farò giustizia di tutti gli dèi d’Egitto. Io sono l’Eterno”.

Infatti quella notte il Signore manderà l’angelo distruttore, che passerà in Egitto e in ogni casa, ovile e stalla, non protetta dal sangue dell’agnello, farà morire il primogenito.

“Esodo 12:13 E quel sangue vi servirà di segno sulle case dove sarete; e quand’io vedrò il sangue passerò oltre, e non vi sarà piaga su voi per distruggervi, quando percoterò il paese d’Egitto. 14 Quel giorno sarà per voi un giorno di ricordanza, e lo celebrerete come una festa in onore dell’Eterno; lo celebrerete d’età in età come una festa d’istituzione perpetua”.

La liberazione di Israele dalla schiavitù egizia è il simbolo della liberazione dell’uomo dalla schiavitù della morte, liberazione ottenuta attraverso la resurrezione del Cristo dopo l’espiazione ed il sacrificio sulla croce. Più avanti, nel pellegrinare di Israele nella penisola del Sinai, il Signore darà a Mosè un’altra cerimonia collegata alla Pasqua che adempie proprio il simbolo della Resurrezione, detta “Festa delle mannelle”. La festa delle mannelle è legata a doppia mandata con la Pasqua ed è una festa di preparazione e contemplazione dell’amore di Dio. Questa festa si celebra con una procedura semplice, ma ha un significato straordinario. Il giorno dopo il Sabato di commemorazione della Pasqua, il sommo sacerdote officiante riceve da Israele un piccolo mazzo di spighe di grano del prossimo raccolto, appunto la “mannella”, che “agiterà” davanti all’Eterno, come segno di gratitudine per la primizia del prossimo raccolto, ovvero la primizia delle sue attese benedizioni. La mannella di grano rappresenta la primizia della resurrezione, ovvero Gesù Cristo, avvenuta proprio il giorno dopo il sabato ebraico nel quale si celebra la festa della Pasqua. Questo è il motivo per cui la cristianità festeggia la domenica come giorno del riposo e non il Sabato come gli ebrei

Considerazioni sulla festa della Pasqua

Adesso torniamo a dare uno sguardo alla pasqua del 33 dopo Cristo e guardiamo tra gli altri, due eventi straordinari del ministero del Salvatore e Redentore Gesù Cristo.

Primo Nel capitolo 5 del vangelo di Matteo, al verso 17 viene riportata questa dichiarazione del Redentore: Gesù disse ai suoi discepoli: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento». Adesso applichiamo questa dichiarazione di Gesù alla cerimonia della festa della Pasqua. Il simbolo dell’agnello del sacrificio è proprio Lui. Il fatto che alla sua morte sulla croce, i crocefissori non gli spezzarono le gambe, come fecero invece per gli altri due condannati, viene riportato per adempimento della legge relativa all’agnello pasquale al quale non doveva essere rotto nessun osso.

Secondo La festa della Pasqua è la realizzazione di una importante parte del piano di Dio “rendere l’uomo immortale”. La cerimonia pasquale, rappresenta Gesù, che attraverso il suo sacrificio sulla croce, e la sua resurrezione dai morti, vince la morte stessa e rende possibile la “Resurrezione dell’uomo” che così è salvato dalla morte fisica.

Per raccogliere questo primo obiettivo del Padre, reso possibile tramite il figlio Gesù Cristo, non é richiesta una qualifica specifica, infatti abbiamo visto che è un dono per tutti gli uomini, “come tutti muoiono in Adamo, tutti risorgono in Cristo”. Questa è la manifestazione della “Grazia” di Dio. La resurrezione dalla morte donata del Cristo è un evento con valenza assoluta, è indipendente dalla relazione che il risorto avrà o meno con Dio.

Il fatto che la festa della Pasqua si celebra nel cortile delle case di Israele, dove vivono fianco a fianco persone buone e meno buone, questo è a certezza che il dono è dato a ciascuno, a prescindere dalla condizione e situazione spirituale in cui si trova. La persona risorta potrebbe essere anche un peccatore. Guardata da vicino la festa della Pasqua mostra il suo splendore e mostra anche il fatto che i suoi simboli rappresentano la preparazione a qualcosa di più grande e maestoso che sarà dato a Israele più avanti, quando Mosé riceverà l’incarico di costruire il “Tabernacolo mobile”.

La festa della Pasqua ricorda all’uomo che per la salvezza occorre “Riconoscere” il sacrificio espiatorio del Cristo. La festa della Pasqua è la prefigurazione iniziale delle benedizioni del ministero del Salvatore e Redentore, mostra gli effetti del suo supremo sacrificio ma non apre le porte e non spiega completamente l’espiazione.

La festa del Giorno dell’Espiazione

La festa o meglio la ricorrenza del “Giorno dell’espiazione” è stata data a Mosè sul Sinai, dopo che questi aveva già costruito il “Tempio mobile” e vi aveva officiato diverse cerimonie di sacrificio. La cerimonia del “Giorno dell’espiazione” si svolge parte nel Tempio e parte fuori di esso. I suoi simboli sono gli stessi di quelli della pasqua ma con due agnelli sacrificali invece che uno solo. Quindi complementari a quelli della Pasqua, l’agnello sacrificale infatti è comune ad entrambe le feste. In effetti sia la cerimonia pasquale che quella del Giorno dell’espiazione hanno la stessa radice: l’espiazione del Cristo. Come la festa della Pasqua, ogni anno all’inizio dell’autunno, a Israele era stato comandato di celebrare questa festa solenne. Se il Padre ha reputato importante chiedere a Israele di celebrare ben due volte il sacrificio dell’agnello ha certamente avuto buoni motivi che sono legai alla comprensione della parte più nobile del piano di felicità.

Desidero incoraggiare il lettore a porsi le domande:

“perché la cerimonia dell’espiazione è stata data in due feste complementari?”
“perché la cerimonia dell’espiazione del Cristo è correlata con il Tempio?”

Ritengo sia doveroso da parte nostra, per comprendere a fondo il ministero di Gesù, studiare in che modo Egli adempi nella settimana della Santa Pasqua, anche la cerimonia molto sacra e terrificante della festa del Giorno dell’Espiazione. Il fatto che la cerimonia della festa del Giorno dell’espiazione si svolge sia tra le sacre stanze tempio che fuori di esso, è foriero dei significati spirituali che l’accomunano in modo forte con la festa della Pasqua.

Per tutto il periodo di esistenza del Tempio di Mosé nel deserto e di Gerusalemme, le cerimonie del giorno dell’espiazione o “Yom Kippùr” rappresentavano le cerimonie liturgiche più complesse e solenni di Israele. Solo durante il giorno delle cerimonie dello “Yom Kippùr” era consentito al Gran Sacerdote accedere al Santo dei Santi. Dai tempi della sua istituzione biblica Yom Kippùr è il giorno dell’anno in cui si commemora la procedura dettagliata con la quale “le colpe vengono cancellate”.
La figura di Gesù è presente nella cerimonia della festa dell’espiazione in quanto Egli raffigura entrambi i capri. La rivelazione moderna e tutti gli studiosi ebraici, concordano che Egli raffigura sia il capro del Sacrificio che dell’Espiazione.
Confermo che per comprendere la profondità del ruolo di “Redentore” del Signore Gesù Cristo dobbiamo entrare nel simbolismo della seconda grande festa data a Israele nella penisola del Sinai: la festa, o meglio ancora la ricorrenza “Il giorno dell’Espiazione”, in quanto è un momento di alto dolore. Soltanto guardando al popolo sacerdotale di Israele si comprende il pieno significato di alleanza, soltanto guardando al Gesù ebreo si comprende a fondo l’espiazione.

La festa del “Giorno dell’Espiazione”, al pari della “Pasqua” è legata al ministero del Redentore e in particolare spiega la “Procedura divina” che sta alla base del sacrificio dell’espiazione e ne spiega in modo chiarissimo l’effetto.

Che senso avrebbe sapere che l’espiazione è stata fatta, senza poter accedere ai suoi benefici?
Che senso avrebbe sapere che l’espiazione è stata fatta senza sapere come la stessa si applica alla mia vita?

Pur essendo i simboli delle due feste legate allo stesso evento (il sacrifico espiatorio del Cristo), lo svolgimento dei due riti è fortemente diverso. La festa solenne e perpetua del Giorno dell’Espiazione non si celebra nelle famiglie di Israele ma nel sacro Tempio. Questo dice già la grande differenza tra le due feste. Il giorno dettato dall’eterno a Mosè per questa commemorazione ricade esattamente sei mesi dopo la Pasqua, il 10 del mese di Tishri, un giorno che gli Ebrei chiamano Yom Kippur.

Questa festa si annuncia con grande timore reverenziale perché tale è la portata dolorosa dell’evento che celebra. Ogni israelita trema al sol pensiero del suo significato.

Attraverso questa festa l’Eterno rivela a Mosè il simbolismo più nobile per cui ha dato incarico di costruire il Tempio. Rappresenta il simbolismo che realizza la parte più sacra dell’intero piano di salvezza e di redenzione. La rappresentazione però è lunga perché occorre prefigurare per intero il sacrificio che ha introdotto a favore dell’uomo la “Legge della Misericordia”. Nella realtà terrena questo sacrificio é iniziato quando il Cristo entrò nel giardino del Getsemani e si è concluso sulla croce. Nel Getsemani il Cristo dal forte dolore a cui si sottopose sia come uomo che come Dio, “sudò grosse gocce di sangue” e questa fu la prima parte del processo dell’espiazione. La ricorrenza del giorno dell’espiazione inizia proprio da qui.

Nella festa dell’espiazione sono spiegati in dettaglio i compiti concernenti il piano di felicità adempiuti dal Cristo, viene descritta con disarmante bellezza, la funzione materiale e spirituale esatta per la quale il sangue ed il corpo dell’agnello pasquale “Salvano” e “Redimono”. Inoltre viene illuminato e introdotto un altro concetto più profondo non compreso nella Pasqua: Infatti, ad essere “salvati” dal sangue espiatorio di Gesù Cristo, possiamo tornare “redenti” alla presenza di Dio attraverso la via che questo sangue e questo corpo tracciano per sempre. La via era già indicata e presente nel Tempio di Mosé, ma il patto in vigore a quel tempo la teneva sbarrata. La via veniva aperta solo dopo l’espiazione di Gesù e dopo la sua resurrezione.

Il fatto che il velo del Tempio di Salomone alla morte del Cristo si squarciò, è la testimonianza più chiara che L’espiazione di Cristo, il Tempio, noi, e il ritorno redenti al Padre Celeste, sono le componenti centrali e imprescindibili del piano di felicità.

L’apostolo Paolo spiega nella lettera agli ebrei questo legame dichiarando che tramite Gesù Cristo la funzione del Tempio così come data a Mosè nel deserto e continuata nel Tempio di Salomone, sino al 33 d. C. era adempiuta. Tramite il sacrificio del Cristo, il Tempio e il luogo “Santissimo” si aprono ai figli di Israele con un nuovo patto:

Ebrei 10:10 In virtù di questa «volontà» noi siamo stati santificati, mediante l’offerta del corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre. 19 Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel luogo santissimo per mezzo del sangue di Gesù, 20 per quella via nuova e vivente che egli ha inaugurata per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne.

L’apostolo Paolo spiega chiaramente nel capitolo 8 della lettera agli ebrei il motivo del nuovo patto instaurato da Gesù: Ebrei 8:7 “perché, se quel primo patto fosse stato senza difetto, non sarebbe stato necessario stabilirne un altro”. Quindi Gesù abolisce il primo patto del Sinai, lo perfeziona e ne stabilisce uno nuovo che elimina le restrizioni del primo. Infatti nel patto del Sinai la via che porta alla presenza di Dio era sbarrata. La via ora è aperta per merito del Redentore fautore del “Nuovo patto”. Gesù era consapevole di tutto questo e le parole dette agli apostoli al momento della condivisione del “vino” sono chiare e illuminatorie:

Tutti i vangeli e l’apostolo Paolo ne riportano la profondità:

Matteo 26:26-29
26 Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». 27 Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, 28 perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. 29 Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio».

Marco 14:22-25
22 Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». 23 Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24 E disse: «Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti. 25 In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio».

Luca 22:19-20
19 Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». 20 Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi».

Giovanni 6:53-58
53 Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

1 Corinzi 11:23-29
23 Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24 e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». 25 Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». 26 Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga

Tornando alla cerimonia del giorno dell’espiazione, nella prima parte il sacerdote officiante del Tempio si purifica personalmente tramite l’offerta di un giovenco. Fatta la sua purificazione procede alla parte più importante del rito nella quale i protagonisti principali sono due capri il più possibile simili tra loro.
Nel capitolo 16 del libro del Levitico, dal verso 7, in poche parole, è descritta la parte centrale della cerimonia:

Levitico 16:7 Poi prenderà i due capri, e li presenterà davanti all’Eterno all’ingresso della tenda di convegno. 8 E Aaronne trarrà le sorti per vedere qual de’ due debba essere dell’Eterno e quale di Azazel. 9 E Aaronne farà accostare il capro ch’è toccato in sorte all’Eterno, e l’offrirà come sacrifizio per il peccato; 10 ma il capro ch’è toccato in sorte ad Azazel sarà posto vivo davanti all’Eterno, perché serva a fare l’espiazione e per mandarlo poi ad Azazel nel deserto.

Cosa significa che il primo capro funge “come sacrifizio per il peccato”?

Si riferisce al gravissimo peccato fatto da Adamo nel giardino di eden quando viveva in una condizione celeste alla presenza di Dio con un corpo che era vivificato dallo spirito. A causa di questo peccato Adamo viene allontanato per sempre dalla presenza di Dio.

Il primo capro simbolicamente rappresenta il “sangue di Cristo” che redime Adamo e la sua discendenza dal grave peccato fatto nel giardino di Eden.

Si comprende bene che l’offerta del sangue del primo capro ha il compito redimere la discendenza di Adamo dal peccato commesso nel giardino di Eden, cagione per la quale l’uomo e la sua discendenza sono divenuti carnali e sono stati esclusi dalla presenza di Dio. Questo simbolo è legato all’eternità del sacerdozio, introduce la misericordia che risarcisce la giustizia. Il significato più spirituale del simbolo è che solo il sangue del Cristo ha il potere di attivare la “Misericordia”. Come spiega bene l’apostolo Paolo nella lettera agli Ebrei, attraverso il sangue del Cristo, Israele oltrepassa il velo ed entra alla presenza di Dio Padre. Il compito del primo capro aiuta a comprendere che l’espiazione è legata al rapporto tra la giustizia e la misericordia. Indica che il sangue innocente, perfetto, eterno ed immacolato di un “Dio” (quello di Gesù) ha pagato il prezzo richiesto dalla giustizia per annullare il suo editto. Dobbiamo ricordare, affinché il lettore rimanga nel perimetro del piano di felicità, che la misericordia si può attivare verso la giustizia, e funziona solo con l’assenso di colui che ha pagato il prezzo. Fuori da questo perimetro l’uomo non può essere redento, può essere solo salvato,

Il secondo capro simbolicamente prende su di sè e lava i peccati commessi da Adamo e da tutta la sua discendenza, passata, presente e futura.  Per comprendere meglio il compito del secondo capro dobbiamo leggere i versi del libro Levitico capitolo 16 dal numero 20 in avanti:

Levitico 16:20 E quando avrà finito di fare l’espiazione per il santuario, per la tenda di convegno e per l’altare, farà accostare il capro vivo. 21 Aaronne poserà ambedue le mani sul capo del capro vivo, confesserà sopra esso tutte le iniquità dei figliuoli d’Israele, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati, e li metterà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di questo, lo manderà via nel deserto. 22 E quel capro porterà su di sé tutte le loro iniquità in terra solitaria, e sarà lasciato andare nel deserto.

Il secondo capro ha quindi il compito di espiare per i peccati commessi dalla discendenza di Adamo sulla terra. Gesù si è offerto fina dalla vita preterrena per assolvere questo compito.

Nella Pasqua ebraica del 33 dopo Cristo,
Gesù adempie entrambi questi simbolismi.

L’apostolo Paolo lo testimonia chiaramente nel capitolo 9, verso 11 e 12 della lettera agli Ebrei:

Ebrei 9:11 Ma venuto Cristo, sommo sacerdote dei futuri beni, egli, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d’uomo, cioè, non di questa creazione, è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna.

Qui abbiamo la testimonianza chiara dell’apostolo Paolo, che Gesù adempie il simbolismo dei due capri della cerimonia del Giorno dell’Espiazione

Per comprendere la pienezza della cerimonia dobbiamo concentrarci ancora un poco su alcuni versi sempre del capitolo 16 del Levitico:

Levitico 16:15 Poi scannerà il capro del sacrifizio per il peccato, che è per il popolo, e ne porterà il sangue di là dal velo; e farà di questo sangue quello che ha fatto del sangue del giovenco; ne farà l’aspersione sul propiziatorio e davanti al propiziatorio.

Qui la cerimonia spiega in modo lineare e comprensibile, che il sangue del capro del sacrificio (Gesù Cristo) in quanto viene asperso sul e davanti al “propiziatorio” del luogo “Santissimo” (ovvero ai piedi di Dio), redime pienamente l’uomo. Attraverso questo sangue del sacrificio, la discendenza di Adamo può tornare al Padre.

Nella lettera agli Ebrei al capitolo 9, l’apostolo Paolo ci illumina su cosa accadde di preciso nella pasqua del 33 dopo Cristo: 24 Infatti Cristo non è entrato in un luogo santissimo fatto da mano d’uomo, figura del vero; ma nel cielo stesso, per comparire ora alla presenza di Dio per noi; sottolineo che questa spiegazione di Paolo è collegata esclusivamente al simbolismo del Tempio. Siamo ora in grado di entrare nel significato di una importantissima parte della festa del Giorno dell’espiazione e comprendere il significato nella sua massima semplicità.

Il primo capro rappresenta il “Cristo” che con il suo sacrificio “presentato ai piedi di Dio”, purifica la discendenza dei figli del Padre, ottenuta tramite il capostipite Adamo, e la riporta Redenta alla sua presenza. Sempre l’apostolo Paolo, spiega nella prima lettera ai corinzi nel capitolo 15:21 Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti.22 Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati.

Questa testimonianza viene ripresa anche nella lettera ai romani al capitolo 5: 17 Infatti, se per la trasgressione di uno solo la morte ha regnato a causa di quell’uno, tanto più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia, regneranno nella vita per mezzo di quell’uno che è Gesù Cristo. 18 Dunque, come con una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così pure, con un solo atto di giustizia, la giustificazione che dà la vita si è estesa a tutti gli uomini.
19 Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati resi peccatori, così anche per l’ubbidienza di uno solo, i molti saranno costituiti giusti.

Il secondo capro rappresenta il “Cristo” che dopo aver purificato il sangue di Adamo, prende su di sé i peccati passati, presenti e futuri, della famiglia umana e attraverso il suo sacrificio espiatorio la redime.

L’espiazione nel Getsemani: Gesù è il capro del Sacrificio

   

La sera del giovedì santo, dopo l’ultima cena, Gesù si reca nel giardino degli ulivi del Getsemani. Lasciati gli apostoli più fidati si stacca da loro per pregare, ma Gesù, turbato, sa bene che quella non è una preghiera ma il processo terribile dell’espiazione. Lo aspetta il compito più importante del suo ministero e dell’intero piano di salvezza. Gesù durante l’espiazione si sottopone a dolori che solo un Dio può sopportare. Quando noi scriviamo “terribili dolori” in effetti diamo una raffigurazione verso il basso della profonda tribolazione totale alla quale Gesù si sottopose nell’anima e del corpo.

Questo momento è stato descritto dallo stesso Gesù nella rivelazione moderna data a Joseph Smith nella sezione 19 del libro di Dottrine e Alleanze: 15 Perciò io vi comando di pentirvi—pentitevi, perchè non abbia a colpirvi con la verga della mia bocca, e con la mia ira, e con la mia collera, e che le vostre sofferenze siano dolorose—quanto dolorose non sapete, quanto intense non sapete, sì, quanto dure da sopportare non sapete. 16 Poiché ecco, io, Iddio, ho sofferto queste cose per tutti, affinché non soffrano, se si pentiranno; 17 Ma se non volessero pentirsi, essi dovranno soffrire proprio come me; 18 E queste sofferenze fecero sì che io stesso, Iddio, il più grande di tutti, tre- massi per il dolore e sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia nel corpo che nello spirito—e desiderassi di non bere la coppa amara e mi ritraessi— 19 Nondimeno, sia gloria al Padre, bevvi e portai a termine i miei preparativi per i figlioli degli uomini.

Davanti a questo “soffrire” si cela la parte del ministero di Gesù che non è di questa terra, il “soffrire” di cui stiamo scrivendo non è “umano” ma “divino”. In questo momento, nel silenzio dell’orto degli ulivi, la figura di Gesù si pone davanti a Dio come l’agnello del sacrificio della festa dell’espiazione. Il suo sangue che cade sull’erba del Getsemani non è quello di un capro sacrificale, è il sangue immacolato di un Dio che porta a termine la parte più pesante del sacrificio dell’espiazione. Egli depone il suo sangue ai piedi del Padre in favore della redenzione dei suoi fratelli. E’ qui che Gesù vince la sua battaglia più difficile, quando si alza e raggiunge gli apostoli addormentati, la parte più difficile è stata vinta. Adesso arriva quella più umana, il capro espiatorio è già pronto.

La via crucis e la crocefissione: Gesù è il capro Espiatorio

Questo secondo evento dell’espiazione del ministero di Gesù è legato al capro espiatorio. Gesù, esattamente come il capro espiatorio della cerimonia dovrà morire, ed è pronto. Dopo la condanna del popolo, avallata dal romano Ponzio Pilato, anche Lui viene spinto in una folle corsa verso la morte. La corsa attraversa quasi tutta Gerusalemme. Gesù con la croce sulle spalle viene spinto metro per metro sino al monte Calvario, non per trovare la morte in un dirupo montagnoso, ma sul dirupo della croce, sulla quale muore e con la morte suggella il suo ministero di capro del sacrificio e capro dell’espiazione.

Pertanto nella pasqua del 33 dopo Cristo si sono adempiute contemporaneamente la festa della pasqua e quella dell’espiazione.

   

Cosa apprendiamo di ciò che è accaduto nella cerimonia del Giorno dell’espiazione, dopo la Pasqua del 33 d.C.?

Dalle storie narrate, dagli annali del Talmud, nei commentari dell’Enciclopedia Giudaica, si apprende che, Il sommo sacerdote, come dettato dalle scritture stabiliva con la sorte il loro destino estraendo da una scatola di legno due biglietti, il primo con sopra scritto: per Azazel, sulla seconda: sacrificio per il peccato per il Signore.

Secondo la Mishnah e il Talmud (trattato Yoma), il sacerdote legava un filo scarlatto tra le corna del capro per Azazel. Il capro per il Signore veniva quindi portato al sacrificio sull’altare.

Dopo aver terminato il sacrificio del primo capro e portato il suo sangue oltre la cortina nel luogo santissimo, il sommo sacerdote si accostava al capro per Azazel, gli imponeva le mani sulla testa e faceva la seguente confessione per i peccati d’Israele: “O Dio, il tuo popolo, la casa d’Israele, ha peccato e trasgredito davanti a Te…”. A questo punto sul capro venivano trasferiti simbolicamente i peccati della nazione ebraica. Il capro espiatorio veniva quindi dato a un altro sacerdote o degno israelita, che avrebbe portato il capro nel deserto e gettato poi da un’altura sopra delle rocce dove l’animale si sarebbe facilmente sfracellato. In tal modo, il popolo d’Israele avrebbe potuto comprendere, che il Signore stava preparando un modo per lavare i suoi peccati. Israele confidava nell’espiazione provveduta da Dio.

Assieme all’intera cerimonia, anche questo rito sacrificale era ripetuto ogni anno.

La famosa espressione: “capro espiatorio” deriva appunto dal capro che veniva portato nel deserto con i peccati non suoi ma del popolo di Israele, infatti il capro rappresenta qualcuno che è in- nocente a cui viene addossata la colpa di un altro.

Questo è esattamente quello che il Salvatore Gesù Cristo è diventato per noi. Egli ha preso su di sé i nostri peccati. Gesù è diventato per noi sia l’espiazione che il sostituto

Gli annali raccontano di un particolare della cerimonia che non era compreso nella versione originaria. Il sommo sacerdote legava tra le corna del capro espiatorio un filo scarlatto. Sebbene non citato nel libro del Levitico, questo dettaglio è una parte molto importante del rito concreto della festa. Infatti i sacerdoti ed il popolo, quando recuperavano il corpo ormai morto del capro espiatorio, stavano attenti a verificare se il filo scarlatto era divenuto bianco. Il cambio di colore del filo scarlatto in bianco era la testimonianza dell’accettazione del sacrificio da parte di Dio. Questo era il segno che Dio aveva perdonato i peccati del popolo accettando il rito dell’espiazione di quell’anno.

Inoltre si ha notizia storica che durante lo Yom Kippur un filo scarlatto veniva affisso sulla porta del Tempio di Salomone a simbolo del capro espiatorio. Altre fonti dicono che un filo scarlatto veniva messo su una roccia vicina al luogo dove il capro espiatorio era gettato. Come già scritto, quando il capro espiatorio moriva, se Dio accettava i sacrifici offerti nella complessa cerimonia dello Yom Kippur, questi fili scarlatti diventavano miracolosamente bianchi. In una profezia Isaia scrive: “Eppoi venite, e discutiamo assieme, dice l’Eterno; quand’anche i vostri peccati fossero come lo scarlatto, diventeranno bianchi come la neve; quand’anche fossero rossi come la porpora, diventeranno come la lana” (Isaia1:18).

Sempre in base ai commentari ebraici si trova la notizia che dopo la pasqua del 33 dopo Cristo la gloria di Dio non ha più agito sui fili scarlatti. Di certo si conosce che quaranta anni prima della distruzione del Tempio il filo non cambiava colore.

Il Talmud Babilonese dice: “Il nostro Rabbi ha insegnato: Durante gli ultimi quaranta anni prima della distruzione del Tempio…il filo scarlatto non è più diventato bianco, la lampada occidentale della Grande Menorah non bruciava più continuamente; e le porte del Santuario si aprirono da sole…”.

La notizia storica certa è che il Tempio di Salomone fu distrutto nel 70 dopo Cristo, di conseguenza quaranta anni prima risale con certezza al tempo in cui il nostro Redentore ha offerto sé stesso come supremo sacrifico d’espiazione. Dopo l’adempimento della cerimonia dello Yom Kippur da parte del Cristo non esisteva nessun motivo spirituale per cui il filo scarlatto sul Tempio dovesse diventare bianco, il sacrificio di cui era uno dei simboli era stato adempiuto e la cerimonia, per il Padre Celeste non era più necessaria.

Il discepolato e la possente testimonianza di Presidente Nelson

Prima di concludere questo scritto, è doveroso richiamare il cuore, la mente e le mani, allo scopo di comprendere meglio il percorso di questa vita terrena. Lo studio del ministero del Cristo sia per noi anche un momento in cui riflettiamo sulla nostra condizione, per renderla il più possibile simile a quella di un discepolo di Gesù.

Noi ci affidiamo a Cristo e stiamo attaccati fortemente a Lui

Nella conferenza di aprile del 2017, presidente Nelson ha indicato una delle più chiare raccomandazioni di come guardare a Cristo.

“Parlare del sacrificio espiatorio del Signore con espressioni sbrigative come “l’Espiazione”, “il potere capacitante dell’Espiazione”, “applicare l’Espiazione” o “essere rafforzati dall’Espiazione” è dottrinalmente incompleto. Queste espressioni presentano il rischio reale di sviare la fede trattando l’evento come se avesse di per sé vita e capacità indipendenti dal nostro Padre Celeste e da Suo Figlio, Gesù Cristo. Nel grande piano eterno del Padre, è il Salvatore che ha sofferto. È il Salvatore che ha spezzato i legami della morte. È il Salvatore che ha pagato il prezzo dei nostri peccati e delle nostre trasgressioni, e che li ha cancellati a condizione che ci pentiamo. È il Salvatore che ci libera dalla morte fisica e dalla morte spirituale.
Non esiste alcuna entità amorfa chiamata “Espiazione” che possiamo invocare per ottenere soccorso, guarigione, perdono o potere. Gesù Cristo è la fonte. Termini sacri come Espiazione e Risurrezione descrivono quello che il Salvatore fece, in accordo con il piano del Padre, così che noi potessimo vivere con speranza in questa vita e potessimo ottenere la vita eterna nel mondo a venire.
Comprendiamo e apprezziamo al meglio il sacrificio espiatorio del Salvatore – l’atto centrale di tutta la storia dell’umanità – quando lo colleghiamo espressamente e chiaramente a Lui.
Quando investiamo il nostro tempo per imparare di più riguardo al Salvatore e al Suo sacrificio espiatorio, siamo spinti a essere partecipi di un altro elemento chiave per avere accesso al Suo potere: scegliamo di avere fede in Lui e di seguirLo. I veri discepoli di Gesù Cristo sono disposti a distinguersi, a farsi sentire e a essere differenti dalle persone del mondo. Sono impavidi, devoti e coraggiosi. Diventare dei discepoli così forti non è né facile né automatico.
La nostra determinazione deve essere saldamente ancorata al Salvatore e al Suo vangelo. Cercare di guardare a Lui in ogni pensiero è mentalmente impegnativo. Quando lo facciamo, però, i nostri dubbi e le nostre paure svaniscono”.

La testimonianza del presidente Nelson è un potente invito a coniugare le alleanze che abbiamo del vangelo e del Cristo, con la capacità di applicare queste alleanze in modo concreto nella nostra vita di tutti i giorni. In effetti nel caso in cui non siamo in grado di vivere come discepoli del Cristo e di obbedire ai Suoi comandamenti, non abbiamo nessuna conoscenza delle alleanze. Al massimo abbiamo il “sapere”, cosa molto diversa. Il sapere dona molta erudizione ma non produce cambiamento di vita che porta alla “conoscenza”. Molti sanno che il fumo fa male alla salute ma continuano tranquillamente a fumare. Chi possiede il sapere non è vincolato al sapere.

Quando ci approcciamo all’espiazione senza la giusta visione di ciò che essa realmente è, potremmo sentirci schiacciati e annichiliti, oppure alleggeriti da una falsa sicurezza.

Il modo più semplice per comprendere l’espiazione è andare al Tempio e vivere le alleanze che sono possibili tramite l’espiazione. Il Tempio è il luogo dove impariamo di più sul significato dell’espiazione che in qualunque altro luogo. Nel Tempio la distanza, comportamentale, fisica, spirituale, pratica tra noi e il Cristo, si azzera e scompare. Nel Tempio il processo del piano di felicità, del quale l’espiazione è la componente centrale, si manifesta a noi attraverso alleanze, in tutta la sua semplicità e purezza.
Nel Tempio viviamo il Cristo, tramite lui, stabiliamo con il Padre celeste ogni alleanza della vita eterna e tramite lui accediamo alla sua presenza. In ogni cerimonia del Tempio Cristo è al centro.

Il Tempio è il luogo dove impariamo a stabilire una relazione diretta con il Cristo. Il Tempio è il luogo dove diverse scritture trovano una collocazione non solo dottrinale ma operativa.

Il motivo più importante per il quale ho scritto questo articolo è incoraggiare il lettore a stabilire una relazione concreta con il Cristo. Nel Tempio, il Cristo non è “lassù” e tu “quaggiù” e tra di noi la voragine delle debolezze, paure e mediocrità che allontanano sempre di più.
Nel Tempio Gesù è al nostro fianco, ci tiene per mano e ci incoraggia, ci mostra come possiamo superare le nostre debolezze per essere come lui è. Invito il lettore a fare questo esercizio:

Leggiamo queste dichiarazioni fatte nel commiato di Gesù dai nefiti, questo commiato e legato al Tempio e lo è più di ogni altra scrittura:

3 nefi 27: 21 In verità, in verità io vi dico: questo è il mio Vangelo; e voi sapete le cose che dovete fare nella mia chiesa; poiché le opere che mi avete visto fare, voi le farete pure; poiché farete proprio ciò che mi avete visto fare. 27… Dunque, che sorta di uomini dovreste essere? In verità, io vi dico: Così come sono io.

A quali cose alla nostra portata di comuni mortali si riferisce?

Si riferisce a quando obbedì facendosi battezzare da Giovanni battista,
a quando fece poderosi miracoli senza curarsi di essere ringraziato,
a quando molti discepoli lo abbandonarono per aver parlato della sua espiazione,
a quando nel Getsemani il Padre non lo ascoltò per togliere quel calice amaro e insopportabile del dolore dell’espiazione,
a quando sulla croce perdonò i suoi crocefissori.

E adesso chiediamoci, di queste 6 cose che lui ha fatto quali sono quelle che noi possiamo fare?

Le troveremo tutte!

Perché abbiamo avuto molte occasioni per essere ubbidienti lo siamo stati.
Perché abbiamo fatto molto bene e non abbiamo mai preteso di essere ringraziati.
Perché siamo stati leali con gli amici e quando ci hanno ingiustamente abbandonato abbiamo rispettato la loro decisione senza rancore.
Perché abbiamo chiesto al Padre di diminuire le nostre prove e quando lui non le ha tolte abbiamo accettato la sua volontà.
Perché per quanto abbiamo ricevuto molti torti, li abbiamo tutti perdonati

Potrei scrivere tante altre situazioni di “vita normale” che diventa “vita straordinaria” per il semplice fatto che abbiamo fatto le stesse cose che lui ha fatto e che di conseguenza ci hanno reso simili a lui.

Siamo arrivati, il nocciolo della vita è qui.
Le distanze tra noi e il Cristo sono abolite, nel Tempio noi camminiamo con il Redentore mano nella mano, ci impegniamo per alleanza a vivere come lui ha vissuto, a fare le stesse cose che lui ha fatto.

La sfida comincia quando usciamo dal tempio, quando le prove della vita ti turbano, ti assalgono e ti portano in un costante Getsemani. Tuttavia quando non distogliamo il cuore dal tempio e restiamo saldi alle alleanze li stipulate, linea su linea precetto su precetto, prova su prova inizia il processo di santificazione. Quindi il significato di ricevere una benedizione da Dio perde il contorno di questa vita Teleste ed acquista quello della vita Celeste.

Una parte della mia benedizione Patriarcale

Il motivo per cui ho deciso di inserire questi articoli nel sito è molto chiaro e preciso. Il 18 dicembre del 1972, quattro mesi dopo il matrimonio con Elita, siamo andati negli uffici della missione italiana di Roma, dove il patriarca Eldred G, Smith ci ha dato le nostre benedizioni patriarcali.

Vi trascrivo un piccolo pezzo:
“La tua mente sarà ricettiva ai veri principii. La tua comprensione e conoscenza dei principi del vangelo e del piano di vita e salvezza ti saranno continuamente aumentate. Il Signore ti benedirà col successo nei tuoi sforzi finché ti sforzerai di impartire agli altri la conoscenza del vangelo datati”.
Mi sono sempre sforzato al meglio delle mie capacità per essere obbediente a questa parte del mio incarico sulla terra, in tutto l’arco del mio ministero che ormai ha superato i 50 anni, ho insegnato costantemente ai fratelli e alle sorelle, tramite gli incarichi ecclesiastici e con il comportamento, le cose che a sua volta lo spirito mi ha insegnato.
Oggi è arrivato il tempo di affidare a questo mezzo di comunicazione meraviglioso i “principii” che ho ricevuto direttamente dallo Spirito, con la speranza di toccare il cuore di molti, anzi moltissimi.

Mi associo al possente e liberatorio messaggio di presidente Nelson, porto la mia testimonianza che dopo aver contratto le sacre alleanze del Tempio, mentre viviamo come il maestro ha vissuto e quando restiamo attaccati a Lui per superare tutte le difficoltà della vita, sia quelle esaltanti che quelle debilitanti, noi per certo torneremo alla presenza del Padre e ogni cosa che posa magnificare la nostra vita ci sarà data, anche ad esuberanza.                                                                  Ernesto Nudo

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